Dopo gli ottimi risultati registrati dal mercato del debito emergente nel corso del 2016, anche per quest’anno tutti i segnali sembrano essere a favore di un’altra annata positiva per questo segmento, come è emerso al Roadshow EMD organizzato lo scorso 7 marzo da NN Investment Partners presso il Mandarin Oriental Hotel a Milano. “Nei mercati sviluppati i rendimenti obbligazionari sono ancora ai minimi storici, per questo riteniamo che in tale scenario il debito emergente offra un’alternativa di investimento interessante”, afferma Simona Merzagora, Managing Director di NN Investment Partners, asset manager con oltre 170 anni di esperienza e 7,1 miliardi di dollari in gestione sul debito emergente. Secondo Marcelo Assalin, Head of Emerging Market Debt Strategies di NN Investment Partners, sono diverse le ragioni a supporto di un trend positivo dei mercati emergenti: “I tassi di interesse reali sono elevati, l’inflazione segue un trend discendente, le divise sono sottovalutate e l’aumento dei prezzi delle commodity favorisce questi Paesi. Inoltre, la riduzione del fabbisogno di rifinanziamento con l’estero, favorita dalla netta diminuzione delle partite correnti, li rende meno vulnerabili a shock esterni e in grado di ammortizzare gli effetti dell’aumento dei tassi di interesse globali e di un potenziale rafforzamento del dollaro”.
Tra i fattori di incertezza, un peso rilevante lo ha sicuramente l’agenda politica che avrà intenzione di seguire il neoeletto presidente Trump nei prossimi mesi. “Ci saranno due possibili scenari: quello di un Trump pragmatico e quello di un Trump aggressivo. Nel primo caso il presidente si focalizzerà sulla crescita, favorirà la cooperazione internazionale e lascerà le tematiche del protezionismo e dell’immigrazione in secondo piano. In alternativa, potrebbe focalizzarsi proprio su queste tematiche, entrare in conflitto con il Congresso su questioni politiche e commerciali, introdurre dazi sui beni dei Paesi emergenti o addirittura intraprendere una guerra commerciale con la Cina e ciò impatterebbe negativamente sulle esportazioni di quest’area. Con un Trump pragmatico, i mercati emergenti trarrebbero beneficio dalla crescita Usa, che avrebbe un impatto positivo sui prezzi delle materie prime e i flussi globali verso le aree emergenti rimarrebbero ancora favorevoli”, ha affermato Assalin, precisando che il loro scenario di base prevede un Trump focalizzato su un’agenda incentrata sulla crescita e, quindi, un contesto favorevole al mercato emergente.
Entrando maggiormente nel dettaglio dei singoli Paesi, è emerso un outlook positivo per l’Argentina, favorita dalle riforme del nuovo Governo e con una situazione economica in miglioramento, un export in ripresa e una valuta che garantisce un alto carry e che sicuramente offre più stabilità dopo la recente svalutazione. Rimanendo nell’area dell’America Latina, anche il Brasile è tra i Paesi più promettenti, con il mercato obbligazionario più redditizio dell’universo in valuta locale, grazie al forte cambiamento politico in atto, con il real cui spetta la palma di valuta best performer, mentre il Messico potrebbe essere penalizzato dall’impatto della retorica elettorale di Trump. Maggiori timori, invece, rimangono legati alla Cina, non tanto in relazione alla crescita, che si manterrà attorno al 6,5%, trainata dagli stimoli monetari e fiscali, quanto piuttosto in relazione ai progressi delle riforme; infatti, se il colosso asiatico non si concentrerà sul miglioramento del quadro istituzionale e sull’aumento della produttività, ci sarà il rischio di un hard landing in futuro. Dando uno sguardo ai rendimenti che ci si attende, Assalin ha evidenziato che “sia in ambito sovrano, sia per i titoli corporate e nel segmento hard currency, prevediamo una contrazione degli spread, a seguito del rialzo dei tassi Usa, che pensiamo possano scendere verso i 280 punti base. Il rendimento totale delle obbligazioni emergenti in valuta forte potrebbe quindi attestarsi attorno al 5/6%. Sul fronte delle obbligazioni in valuta locale, invece, per l’indice GBI-EM ci aspettiamo un rendimento compreso tra il 4% e il 6%, attribuibile in gran parte al carry dell’asset class che ha un rendimento vicino al 7%. Per i mercati di frontiera, invece, i rendimenti totali potrebbero essere di circa il 7/8%”.